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Vita,Opere, Incontri, Racconti, Testimonianze

Le opere di Piero Strada lasciano un segno nella vita, un’impronta che dura nel tempo, oltre la morte: da quì il recupero del mito e della leggenda. La vita è una grande scommessa dove ogni uomo si cimenta per attenuare l’angoscia della morte e dei propri limiti. I miti, le ideologie, le religioni, l’arte sono gli strumenti di questa lotta. Piero si colloca in questo contest e si ritrova uomo tra uomini che si pongono le eterne domande. Parlare lo stesso linguaggio, pur attraverso uno proprio, che non è parola ma ferro, non lo rende solo. (Roberto Moretto)






























































Piero Strada nasce a Ravenna il 21 dicembre 1932. La casa paterna è prospiciente le “carraie”, strada che unisce il borgo San Rocco con Porta Nuova. Borgo popolare di operai e braccianti e dove Piero inizia fin da giovane, nel tempo libero, a lavorare presso l’officina-fonderia Roncuzzi. Nel 1945 inizia a lavorare presso un meccanico di biciclette dove impara a saldare con il gasometro a carburo. Durante il servizio militare in carico alla Marina viene assegnato ad una nave in disarmo a causa di precedenti legali dovuti alla sua partecipazione a scioperi operai. Destino vuole che in quella nave Piero scopra una biblioteca abbandonata che diviene il luogo dove trascorrerà il tempo migliore, incuriosito e poi appassionato da quella cultura a cui non si era potuto confrontare in precedenza. Tornato in abiti civili, lavora presso l’Officina Beltrami imparando il mestiere di battilastra e perfezionando le sue abilità di saldatore. Il colpo di fulmine avviene nel 1957 lavorando al restauro delle edicole sacre di Ravenna. Saldando ricci e foglie in ferro battuto, restaurando Cristi e conferendo loro nuovi movimenti comprende di essere indissolubilmente legato all’arte. Frequenta i corsi di Disegno e Pittura dell’Istituto Professionale di Ravenna sotto la guida del Prof. Verdicchi. In questo ambito incontra due artisti della lavorazione del ferro: Augusto e Mauro Bartolotti.

Artisti come Basigli, Ragni, Salbaroli, Ranzi, Onofri, Toscano e Verlicchi lo incoraggiano, ma l’incontro con lo scultore Augusto Bartolotti, del quale è amico e allievo prediletto, determina una svolta nella sua carriera artistica. Da questo artista Strada apprende l’amore per la figura umana e l’armonia delle forme, elementi che rimarranno costantemente alla base di tutta la sua opera scultorea. Seguono anni di formazione e di confronto con artisti Ravennati e non, nel clima di fervore creativo e contestaione, influenzato dagli eventi sessantottini. Si esercita nel disegno con modelle e apprende tecniche pittoriche e dell’incisione nel retrobottega del corniciaio Otello Prati, a Lugo. Lì, sotto la guida di Tono Zancanaro, si parla con profondità, serietà ed ironia di arte, di cinema (Fellini lavora spesso a Lugo), degli anedotti di Tonino Guerra e di politica.
Il viaggio a Parigi con gli allievi dell’Accademia, la frequentazione di rassegne d’arte, gallerie e musei, lo segnerà e confermerà la sua ricerca artistica. Nel contempo, l’amicizia con Franco Forlivesi, lo spinge alla lettura dei classici e alla predilezione per gli autori francesi. Questo percorso formative portano Piero ad esprimere attraverso il ferro una rivitazione dei miti della Grecia antica, del Medioevo, del Rinascimento, dei cicli della natura, dei sentimenti della vita e della morte.
Uscire dal proprio studio, viaggiare, confrontarsi con mondi ed idee diverse, porta ad una sintesi faticosa ma viva: la stessa fatica impressa dall’artista nel ferro delle sue creazioni. Piero Strada non lavora alle opere: è il fluire di un dialogo continuo e veloce tra l’artista e l’opera che ne definisce la realizzazione, senza mai perdere il senso della comunicazione, senza indulgere mai in sterili solipsismi.

Vi proponiamo alcuni Racconti di personaggi che hanno conosciuto direttamente Piero Strada e le sue Opere, in modo da permettervi di conoscere meglio l'Artista e il mondo dietro le sue Opere

E’ certo un privilegio incontrare un artista alla sua prima mostra. Privilegio, perchè l’atmosfera che si crea attorno alle opere è satura di trasparente freschezza, di faticato entusiasmo e di artigiana umiltà. Elementi che raramente permangono nelle opere future specialmente or ache per aderire a mode o compromissioni commerciali, si disperdono tante sincere qualità e si avviliscono validi impegni culturali. L’opera di Piero Strada è entusiasmante, così come la scoperta di un paesaggio genuine nel quale ci si immerge attratti da una forza primitive, prepotente, piena di umana partecipazione. Tutto nasce da una spinta profonda, le immagini risentono ancora della fatica che l’artista ha compiuto per strapparle all’ingrata materia. Il ferro si è piegato alla volontà dell’uomo per raccontare la storia dell’uomo. E’ questo, a nostro aviso, il momento di Maggiore tensione nelle opere di Strada; è il lasciarci leggere la via che le sue figure hanno percorso per emergere con dolore e per aggredirci con la loro storia, immerse come sono ora in un nuovo spazio, senza orizzonte, che sottolinea ancora di più la loro presenza. Volti di donna, di lavoratori, aneddoti, simboli, storia, si susseguono con un ritmo serrato parlando allo spettatore con un linguaggio aperto, sicero che affonda le sue radici nella realtà vissuta dai personaggi rappresentati. Sembra di ascontare un canto Romagnolo, dove il dialetto si fa musica e la musica ha le dimensioni dei nostril paesaggi, delle nostre pianure sulle quali si distende l’eco di un’antica umanità. Vale oggi soffermarci in una analisi delle single opere, farne l’anatomia, ricercarne il motive critico? Pensiamo di no. ci sembrerebbe di turbare l’emozione che nasce in noi immediate e spontanea, emozione che desideriamo conservare a lungo per rinfrancarci, per riposare e godere di questa paus ache Strada ci offre con la semplice poesia delle sue opere. Dobbiamo essere solo grati a questo giovane “ARTIGIANO”, di averci riportato per un lungo momento così vicini alle semplice figure che quotidianamente ci circondano, ma di cui forse abbiamo dimenticato il volto.

L’incontro con l’opera di Piero Strada ci riporta in un mondo antico e lontano. Nelle sue sculture rivivono personaggi storici dellae delle leggende ma, soprattutto, rivivono le storie e I fatti di cui I personaggi furono protagonisti. Non si tratta di una rivisitazione ma, piuttosto, di un nuovo modo di raccontare eventi ormai consegnati definitivamente alla memoria, facendoli rivivere negli atteggiamenti nella gestualit e nell’espressione delle figure che questo artista plasma in ferro battuto. L’uomo diventa, nella sua totalità, il protagonista assoluto delle sculture di Piero Strada, portandosi dietro la propria storia, cultura, pregi e debolezze. Così ogni scultura di Piero non si limita a rappresentare le semplice fattezze umane ma racconta del personaggio rafigurato la storia, un evento o comunque qualcosa della sua vita, introducendo l’osservatore nel mondo in cui egli ha vissuto da protagonista. Questo viaggio nei fatti del passato potrebbe sembrare anacronistico ma non lo è, mi sembra piuttosto un bisogno di certezze e di riferimenti sicuri che la nostra società in rapida e continua evoluzione non offre più poichè sta vivendo un momento di transizione tra il Vecchio e il nuovo dove tutto viene messo in discussione. Comunque sia, Strada, con le sue sculture ci offre un momento di ausa e di astrazione dalle problematiche del nostro tempo; l’osservatore si lascia trasportare volentieri nel mondo antico dei suoi personaggi scolpiti con enfasi, pieni di vitalità e di for a evocative che appaiono alla ricercar di un proprio collocamento spaziale che sembrano non trovare perchè smarriti fuori dal loro tempo.

Dotato di una innata capacità intuitiva, Piero Strada si è sempre caratterizzato nella ricercar di un linguaggio aderente alle istanze del proprio mondo poetico, passando attravers gli sperimentarismi più avvertiti nel campo delle arti plastiche, dal modellato alle installazioni, ma sempre ancorato al senso profondo delle sue “verità” immaginarie. La sua creatività mossa da una emotività tutta legata all’esperienza contemporanea, trova la migliore ispirazione nel tradurre le problematiche dell’uomo moderno attraverso I fantasmi della mitologia classica o citando temi arcaico-religiosi, in linea con certi stilemi epico-sociali, con cui rivisita I fatti esisteniali del suo tempo. Fuori da ogni metafora, si scopre che la sua è una coerenza etica, prima ancora che culturale, alla cui base sta uno slancio lirico accompagnato dalla consapevoleza che l’arte si evolve quando si evolve lo stile, ma che non può prescindere dai contenuti. La sua formazione meriterebbe tutt’oggi una più approfondita disamina, specie nel particolare rapport con la città che lo ha sempre considerato, fin dalle sue prime esperienze come un ironico “vojeur”. Ravenna, sul finire degli anni sessanta, viveva una situaione di lenta evoluzione condizionata da fattori riduttivi di una cultura provinciale piuttosto autarchica, ancor paga di una tradizione dignitosa, forse mai sufficientemente alorizata, dominate dal primato del disegno, della ritrattistica e dal virtuosismo espositivo. Non era certo una città con presenze artistiche d’avanguardia ma non risultava neppure di spunti vivaci, anche in relazione alle esperienze cosmopolite di quei tempi. Esisteva, quindi, un sommovimento nella cultura artistica locale che non mancò di creare in lui forti motivi d’attenzione, vuoi per le grandi esperienze che maturavano nel campo della ceramica, ad opera dei maggiori artisti faentini (Zauli, Lega, Biancini), vuoi nella disciplina del mosaico, le esperienze dei grandi maestri contemporanei che, da tutte le parti del mondo, approdavano a Ravenna per “tradurre” le loro opere (Gino Severini, Marc Chagall, Oscar Kokoschka, ecc.). Non era un caso, che alcuni valori della cultura figurative ravennate cominciassero ad inserirsi ai livelli nazionali per merito di artisti locali come Giulio Ruffini, Umberto Folli ed Antonio Rocchi (per citare quelli più innovative in campo pittorico), mentre nel campo delle arti plastiche, si affermavano personalità come quelle di Giannantonio Bucci (sul versante ficurativo e della ritrattistica) e dello scultore Giordano Bittante che, disimpegnato da qualunque riferimento tradizionale, tentava nuove avventure estetiche di più moderna concezione. Particolarmente significativo fu l’approccio di Strada con due artisti e nella lavorazione del ferro: Augusto e Mauro Bartolotti. Provenienti dalla scuola delle “Arti e Mestieri” di Luigi Varoli, vero decano del cenacolo artistico ravennate, I Bartolotti seppero ben presto superare il metro di quella tradiione, per attestarsi a livelli estetici più significativi e di ampio respiro universale, coniugando l’esperienza della scultura classicheggiante con le nuove concezioni plastiche internazionali, con particolare riferimento a Pedro Gonzales e Alberto Giacometti. Sempre disponibili sul piano della ricercar, essi rappresentarono un’importante punto di apprendimento per il nostro giovane artista, aperto più chem ai a quelle relazioni che favorivano la sintesi fra il momento conoscitivo e quello formative. Contemporaneamente alla frequenza del loro laboratorio, Piero Strada avvertiva la necessità di allargare decisamente il giro di contatti anche oltre il mondo artistico ravennate, per confrontarsi con un campo più vasto di esperienze che lo porterà a frequentazioni sempre più intense anche, all’estero. Ravenna, vivrà il suo decisive approdo all’arte moderna anche grazie alla irruente presenza di Mattia Moreni, alla sua formidabile lezione del simbolismo astratto, che determine un impatto emozionale scioccante negli ambienti artistici locali, tale da accentuarne il dibattito interno, sul ruolo di attualità di una moderna cultura figurativa. Mattia Moreni a cui I giovani artisti guardavano con grande interesse, aveva gettato un “macigno nello stagno” con quella irriverenza critica, tipica del personaggio, rompendo gli indugi degli artisti ravennati che erano ancora alla ricercar di un rapport non traumatico fra una onesta tradizione a difendere ed un nuovo corso da intrapprendere. L’eredità prestigiosa dei Guaccimanni, Moradei e Miserocchi era tenuta alta, secondo una impostazione quasi ritual, da artisti della validità di Giulio Avveduti, Renzo Morandi e Francesco Verlicchi; mentre la smania di rompere gli schemi tradizionali era rappresentata soprattutto dalle nuove generazioni che guardavano all’Informale e alla Pop Art. Il cardine storico rappresentato dalla cultura accademica, che aveva condizionato la vicenda artistica locale, subì una svolta con la ristrutturazione dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna, per opera del critic Raffaele De Grada. Siamo agli inizi degli anni settanta e si compie un’altra tappa verso il rinnovamento, poichè l’ampliamento della disciplina didattica impegnata sulla nuova ricerca contemporanea e legata al processo di crescita dell’istituzione, portò la presenza in città di artisti importanti come Tono Zancanaro, Gino Cortellazzo, Eugenio Carmi e di tanti altri, i cui insegnamenti contribuirono all’evoluzione della scuola e quindi alla crescita culturale del contest artistico ravennate. In tale contest ci accentuò un confront di idee piuttosto serraato che riguardò in primo luogo l’Istituto d’Arte ed il Liceo Artistico, invested I vari ambienti culturali e le più prestigiose gallerie della città: “Le Arti”, diretta da Pierino Borghi e “La Bottega” gestita da Paolo Mazzotti e Giuseppe Maestri. La frequentazione di quelle gallerie, veri e propri cenacoli, costituì l’humus ideale e formative di Piero Strada, poichè fu soprattutto in quegli ambiti che maturarono le amicizie e nacquero le occasioni che, come dirà l’artista, determinarono un concatenarsi di eventi favorevoli e di aperture simolatrici. L’artista ricorda come esperienza illuminante la sua prima visita a Parigi assime agli allievi dell’Accademia, che lo affascinò col suo mondo di rivelazioni e conferme e poi, la frequentazione incessante di rassegne d’arte, gallerie e musei in Italia e all’estero. Per un giovane della sua generazione, non fu facile assumere una svolta, passare attraverso la tempesta ideologica del ’68 ed individuare una propria proiezione fra le spire di un’avanguardia intellettuale che in quegli anni, era più tesa alla contestazione delle varie esperienze storico-artistiche, che alla speculazione concettuale per più concrete ed aggiornate esperienze. Non dimenticheremo mai quegli anni di grandi rivolgimenti che segnarono la paralisi di tutte le scuole italiane, ma soprattutto, il disagio di quell’apologia fumosa e piuttosto snob dell’incomprensibile che si era diffusa negli ambienti culturali e nel mondo studentesco. Per Piero Strada, il fatto di non frequentare, a quell tempo, regolari corsi di studio fu un fattore positive, poichè tenne indene da quell disorientamento che ineluttabilmente aveva sconvolto le coscienze di molti giovani speranze e ciò gli conferì il beneficio di una maggiore libertà di pensiero e di opzione. Per esprimere la propria sensibilità scelse un “medium” ostico come quello del ferro; un’esperienza artigianale da riproporre ed al tempo stesso da superare rispetto a territori “già espolrati, per fare un’arte tutta sua che, attraverso il proprio “immaginaire” lo portava ad essere pragmatic e concreto nella lavorazione della materia, ma anche utopico e fantasioso nella figurazione. Si può arrivare all’arte per infiniti sentieri; Piero Strada ci è arrivato mietendo lusinghieri successi, battendo l’ardua pista dell’artigianato artistico e varcando quel labile, quanto indefinito confine che lo separa dal valore assoluto dell’espressione artistica in quanto tale. Forse anche questa avventura tutta spesa a contribuire alla “bella finzione dell’arte” trae spunto dalle condizioni ambientali in cui egli si è trovato ad operare; dal pluralism delle idee espresse dalle varie scuole estetiche e da quanto di buono egli ha Saputo attingere, per ritrovare se stesso in una coerente linea d’attenzione verso la storia, l’etica del fare e la società. Non a caso nella sua opera, l’uomo è al centro di ogni interesse e non tanto e solo nel senso antropologico, ma ce lo rappresenta storicizzato e con tutto il suo bagaglio di miti e di illusioni. Nel comporre c’è la smania del nuovo, ma dalla tradizione coglie il senso dell’unità di forma e contenuto, esigenza avvetita, in primis, nel procedimento tecnico che non smentisce mai I caratteri originari della sua specifica formazione artigiana. Egli non è mai empirico, poichè alla base del suo lavoro c’è sempre un’idea ed un progetto e l’opera si arricchisce sul fare di suggerimenti materici e si avvalora della Sapienza dell’artista di compenestrare stilisticamente forma e spazio. Soltanto quando Piero Strada ci parla del suo operare artistico, ci rendiamo veramente conto di quanto siano grandi il suo impegno e la sua devozione al mestiere, per cui ogni realizzazione reca l’impronta di un miraggio ed è il frutto di un sogno perseguito e puntualmente trasmesso. Un sogno da decodificare per trarne suggestion autentiche, perchè espresso da un inconscio tradotto con una volontà netta ed onesta che rendono più verosimile “la verità” che ci racconta. Kafka diceva che la vita reale è soltanto un riverbero dei sogni dei poeti e forse aveva ragione. Credo che da tutto ciò derive la singolarità della presenza del nostro artista I cui esiti sono al tempo stesso, vitali ed emblematici, di fronte ai quali veniamo affascinati e coinvolti come astanti da un’illusione positive ed avvolgente. Il suo messaggio ci avverte che soltanto un nuovo umanesimo potrà salvarci dall’inquietudine del nostro tempo.

Le opere di Piero Strada sono racconti dove la lamiera di ferro è l’alfabeto da cui l’autore con i colpi del suo martello, prima forma delle lettere, poi sillabe ed infine delle parole che vanno a formare un discorso. Ogni scultura nasce come un insieme di elementi separate, pezzi-parole che l’autore salda insieme per formare discorsi. Pezzi che l’autore crea al momento o recupera in contenitori-depositi di arti, mani, piedi, teste o parti di sfondo. Pezzi come ossero appunti o ricordi della memoria, che finalmente possono unirsi ad altri per assumere una forma complete e stabile. Ogni pezzo prima di fissarsi si muove nelle mani di Piero ed assume nello spazio orientamenti e signiicati diversi. Ogni pezzo è come se gli parlasse, se gli indicasse una strada e lo costringesse a volte su sentieri imprevisti. Il ferro viene incontro a Piero, che con lui lotta, lasciando con i segni del suo martello i segni della sua fatica. Ogni pezzo si piega ed abbraccia l’atto, la lamina lascia intravedere il bordo lucent tagliato di netto, la luce Lancia l’ultimo bagliore prima che il pezzo si richiuda. E la luce corre, corre lungo la linea ancora aperta nel pezzo, corre perchè le scorie non arrivino prima della saldatura lasciando una breccia. Il pezzo che rimane aperto non pu contenere l’anima, non può accogliere il soffio dell’artista. E quell’anima rimane e parla a chi vede l’opera. Anche se l’artista infonde molti significati nell’opera che esce dalle sue mani, chi guarda basta che ne percepisca un pò. E’ quell pò che suscita sentimenti, che permette identificazioni. Piero vive con le sue opere, ma se la vita impone I suoi pesi, lui cerca di alleggerirli. Le sue opere sono leggere, vanno verso l’alto, si spingono verso il Cielo, spesso stanno in punta di piedi. I corpi sono flessuosi come in una danza, le tensioni si perdono e gli arti assumono posizioni impossibili, ma anche all’occhio paiono naturali. I sassi sono punti d’appoggio su cui le opere si librano, non zavorre, ma basi da cui si parte per salire. A volte i sassi riempiono i vuoti, a volte la scultura avvolge i sassi. A volte I vuoti sono più pesante dei sassi stessi e lasciano domande, dubbi irrisolti per l’individuo che s’interroga sulla vita dalla notte dei tempi. La saggezza raccolta dall’esperienza dell’età e dal confront con altri uomini, con le loro opere e con I loro scritti, permette a Piero uno sguardo partecipe alle vicende umane. A volte prevale la denuncia, altre volte un’ironia sottile pervade le sue sculture. Una dolce, flebile musica si coglie in ogni opera, music ache nasce come vento fra le canne ed ispira chi accetta di ascoltare in silenzio. Attento, tupito, curioso pastore errante nelle notti stellate, compiaciuto e terrorizzato di essere parte di un universo mai interamente colto: questo è lo spirito che dovrebbe avere chi si accosta all’opera di Piero Strada, per poterne cogliere il messaggio critico ed attuale, per poter entrare in risonanza con quelle parti di noi che sono lì rappresentate. Non solo, accostarsi all’opera di Strada, non pone diferenze tra il femminile ed il maschile, però l’autore si esprime diversamente quando rappresenta l’uomo o la donna. Il maschio è tendenzialmente colto come un essere costretto a vestire I panni di un eroe o di un tiranno verso di sè o verso gli altri. Costretto aa viversi nei miti, in dificoltà a volte ad accettare I propri limiti. Si rende quasi caricaturale. Piero rappresenta tutto questo con comprensione, entra nei miti e li salva rimaneggiandoli con il suo linguaggio di artista del ferro. Tra I vari racconti cari all’autore, il mito di Icaro riporta il tema dei padri che non danno sufficienti ali per volare ai propri figli; di figli che hanno la presunzione di andare oltre a quanto concesso. Si parla di istinti come venti che sferzano l’uomo come una bandiera. L’uomo nella sua superbia viene ridicolizzato nell’immagine di una forza senza intelletto. L’uomo pur preso dai grandi temi della vita è visto nella sua piccolezza, una piccolezza che diventa, nella sua opera anche dimensionale. Per Piero c’è una dimensione per l’uomo e una per la donna. Per la donna c’è un sentiment di amore e di rispetto, la sensazione di un qualcosa in più che l’uomo non può avere. La donna è l’essere che rappresenta il dove continua e si riperpetua la vita. Il luogo dove la creatività è data per natura nella sua interezza. Escono dalla mente di Strada e si materializzano esili donne avvolte ed imprigionate in spire, fissate negli arti, assenti di braccia, bloccate nel dubbio ma perfettamente coscienti della loro potenzialità. In attesa, aspettano solo il momento più propizio per esprimersi. L’attesa è un atto sospeso, ma pure un luogo protetto, un bozzolo da cui uscirà la farfalle nel cui interno è colta la donna, ffissata in un momento in cui non è ancora formata. Questo è solo l’inizio di un pensiero, anello per altri pensieri che da me e dal pubblico saranno espresso. Solo questa miriade di modi di porsi render il giusto significato e valore all’opera di questo autore.

1962 – Galleria Le Arti – Ravenna
1966 – Camera del Commercio – Ravenna
1968 – Saletta Esposizioni ala d’oro – Lugo, Ravenna
1969 – Galleria San Vitale – Ravenna
1970 – Galleria Il Coccio – Ravenna
1976 – Galleria del Duomo – Pontremoli, Macerata
1976 – Galleria La Baracca – Ravenna
1977 – Galleria d’Arte La Bottega – Lugo, Ravenna
1981 – Galleria Il Patio – Ravenna
1981 – Saletta Il Rugantino – Cesena, Forlì
1982 – Galleria dell’Accademia Michelangelo – Forlì
1982 – Galleria Zampolli Esterino – Brescia
1990 – Santuario di Longiano – Longiano, Forlì
1990 – Salone Cor – Mezzano, Ravenna
1992 – Il Planetario – Ravenna
1993 – Il Planetario – Ravenna
1993 – Spinello – Santa Sofia, Forlì
1994 – Galleria Il Patio - Ravenna
1994 – Studio Exal – Gradara
1995 – Galleria Il Patio – Ravenna
1996 – Sala del Consiglio, San Pietro in Vincoli, Ravenna
1996 – Giardino Palazzo Municipale – Gradara
1997 – Vecchiazzano, Forlì
1998 – Villa Mazacorati – Bologna
1998 – S. Agata Progetto Leopardi – Bologna
1998 – La Fiera degli Scioppi - Mercatale
1999 – Museo Civico – Treviglio, Bergamo
1999 – Chiesa di San Giovanni – Riolo Terme
1999 – I Sacri Fuochi – Forlì e Faenza
1999 – L’antica via del Ferro – Galeata
1999 – Castello Estense – Mesola
2000 – Scuola Don Minzoni – Ravenna
2000 – Memorie Silenziose – Vitulano, Benevento
2001 – Vicolo degli Ariani – Ravenna
2001 – Piazza Nuova – Bagnacavallo, Ravenna
2001 – Art EM Studio – Ravenna
2002 – Manifestazioni – Marina di Ravenna, Ravenna
2003 – ART EM Studio – Ravenna
2003 – Scopoli – Perugia
2003 – Marina Romea
2005 – Galleria Atrebates – Dozza
2006 – Cà Puglioli – Ragone, Ravenna
2006 – Monastero – Rocca Puglione, Cosenza
2007 – Cà La Ghironda – Bologna
2007 – Torre Strozzi – Parlesca, Perugia
2008 – Chiostro San Domenico – Bevagna, Perugia
2008 – Soriano del Cimino – Viterbo

1995 – Bibliothèque Andrè Marlraux - Chartres
1996 – “Stradun” – Dubrovnik
1997 – Italienische Woche – Speyer
1999
2000
2003 – Fiera dell’Arte – Salisburgo
2005 – Memorie Mediterranee – Austria
2006

Alberto Cassani – 2006
Piero Strada è uno degli artisti ravennati più noti ed apprezzati. Usa una tecnica antica con maestria e grande sensibilità. Donima la materia senza violenza, la muove, la allunga, la dilata senza sforzo apparente, rispettandola. Il suo riferimento è sempre la storia, colta e raccontata nei suoi aspetti epici, perchè più chiaro e potente risulti il messaggio che l’esperienza umana lascia alle generazioni future.
Gaetano Grifo – 1994
Le movimentate figure di Strada, rappresentano personaggi storici o mitologici che nella loro realtà furono protagonist di tragiche vicende; tale appartenenza però contrasta con la vitalità insita nelle sue sculture come in un estremo tentative di sottrarsi al proprio fatale destino. Le sculture di Strada che si pregiano di una coerente unità di stile, esprimono attraverso il linguaggio dei gesti una intense emotività.
Mario Battistini – 1994
… I volti degli operai, le figure di quanti hanno visto la vita piegata dalle barbarie della Guerra, i particolari sconvolti di una naatura riassunta in alcuni animali, testimoniano, oltre all’abile mano di Strada e la padronanzacompeta nel lavorare il ferro, la ricerca di valori che ridiano alla vita il significato che essa deve avere: di gioia, di amore, di umanesimo, di giustizia, di pace, di elevazione sociale, culturale, morale e ideale.

Volumi d’arte nei quali è citato l’artista:
Annuario dell’Arte Moderna Italiana – 1966
Cataloghi Biennale Dantesca – dal 1984 al 1995
Expo Arte Città di Montichiari - 1995
Miart - 1995
Si sono occupati delle sue Opere:
Laura Baroncelli, Yves Bastide, Patrizia Bianchetti, Medardo Bortolotti, Michele Casadio, Alberto Cassani, Lelio Fiorentini, Gaetano Grifo, Piero Guniberti, Amedeo Masacci, Francesco Montanari, Pino Morgagni, Erik Normanni, Domenico Ravaglia, Rosanna Ricci, Decio Testi
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Argine Destro Montone, 160
Ravenna
48125
Italia
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